“…volge al declino l’era, che fu nobile nella sua durezza e serietà, della democrazia politica”.
(Luciano Canfora).
Non solo Olimpiadi
12 agosto 2024. Da Pensiero del giorno Bobbi Gibb
Nel 1966, una giovane donna di nome Bobbi Gibb tentò di iscriversi alla maratona di Boston. La sua richiesta fu respinta con una motivazione sconcertante: “Per costituzione fisica, le donne non sono in grado di completare una maratona. Non possiamo assumerci tale rischio.”
Il giorno della gara, quasi sessant’anni fa, Bobbi si appostò tra la vegetazione in attesa dell’inizio. Quando circa metà dei partecipanti era passata, si unì alla corsa. Il suo abbigliamento era improvvisato: pantaloncini del fratello, scarpe sportive maschili, costume e un maglione.
Nonostante il caldo, Bobbi non osava togliersi la felpa. “Temevo che, se mi avessero identificata come donna, avrebbero cercato di fermarmi,” ha raccontato in seguito. Addirittura, pensava di rischiare l’arresto.
Presto, gli altri corridori si accorsero che non era un uomo. Contrariamente alle sue paure, invece di ostacolarla, le promisero protezione da chiunque avesse tentato di interrompere la sua corsa.
Rassicurata, Bobbi si tolse il maglione. La reazione del pubblico, una volta compreso che una donna stava correndo la maratona, fu sorprendente: gli uomini applaudivano, le donne si commuovevano. Al passaggio davanti al Wellesley College, le studentesse la accolsero con entusiasmo travolgente.
All’arrivo, il governatore del Massachusetts in persona le strinse la mano. La prima donna a completare una maratona aveva ricevuto il suo riconoscimento!
Ancora oggi, Bobbi Gibb rimane un’icona nell’ambito dello sport femminile agonistico.
Con un passo dopo l’altro, Bobbi Gibb non solo ha corso una maratona, ma ha aperto la strada a generazioni di donne, dimostrando che i limiti esistono solo nella mente di chi li impone.
#BobbiGibb
29 luglio 2024. Olimpiadi
Luca Billi sulla propria pagina FB
#olimpiadi
‘Sport’ è una parola inglese diventata così comune nel nostro vocabolario da essere ormai considerata, a pieno titolo, italiana. È successo lo stesso alla parola ‘bar’ e non credo sia un caso che praticamente in ogni paese italiano, dal Piemonte alla Sicilia, ci sia un “Bar sport”.
La parola ‘sport’ ha resistito addirittura all’italianizzazione fascista, che colpì invece la parola ‘bar’, sostituita da ‘mescita’. Ad esempio nel 1928 fu edita la rivista mensile “Lo sport fascista”.
I singoli sport furono invece regolarmente italianizzati: il football divenne calcio, il rugby giuoco della volata, l’hockey palla a rotelle. Ricordo il presidente Pertini che, in un’intervista di qualche mese dopo, dichiarò che si era molto preoccupato quando, durante la finale dei mondiali dell’82, Cabrini sbagliò il penalty. Per quelli della sua generazione il calcio era ancora un gioco che si declinava in inglese.
Anche se la parola è inglese, la sua etimologia risale comunque al latino. Si tratta infatti della forma aferetica dell’antico ‘disport’, che risale a sua volta al francese ‘desport”, che significa divertimento, e che in italiano è arrivato nella forma ‘diporto’. La parola francese antica ‘desport’ deriva dal latino ‘deportare’, che significa portarsi lontano, allontanarsi, in quanto per praticare le attività fisiche era spesso necessario uscire dalle mura cittadine, noi diremmo andare fuori porta.
Teoricamente quindi sport e divertimento da un punto di vista etimologico hanno la stessa radice e hanno un significato affine. Certamente noi da casa ci divertiamo a guardare le gare olimpiche, ci piace tifare a favore dei nostri beniamini e spesso – anche se è poco sportivo – contro i loro avversari. Che si divertano gli sportivi che in questi giorni si sono radunati a Parigi per i Giochi della XXXIII Olimpiade mi permetto di nutrire qualche dubbio. Si tratta di professionisti dello sport, che fanno un lavoro e che devono farlo al meglio. Per alcuni di loro questo è l’appuntamento della vita, il coronamento di anni di sacrifici.
Temo che in questi giorni abbiamo parlato troppo di donne barbute, di quadri erroneamente citati, di teste mozzate, ma, dopo tutto, lo sport è da sempre anche un’occasione per parlare d’altro, per allontanarsi in senso etimologico.
Cicerone, nel quinto libro delle “Tusculanae disputationes”, racconta che Pitagora definiva in questo modo i filosofi.
«Leonte, stupito della novità del nome, chiese chi mai fossero i filosofi e quale differenza tra loro e gli altri; Pitagora allora rispose che, secondo il suo modo di vedere, c’era un’analogia tra vita degli uomini e quel tipo di fiere che si tengono con grandissimo apparato di giochi davanti a un pubblico che accorre da tutta la Grecia. Infatti, come là c’è chi cerca di ottenere la gloria e la celebrità della corona con l’allenamento atletico, e chi vi giunge con l’intento di fare buoni affari comprando e vendendo, ma c’è anche una categoria di persone, ed è di gran lunga la più nobile, che non cerca né il plauso né il lucro, ma vi si reca solo per vedere e osservare attentamente ciò che succede e come succede questi si chiamano amanti della sapienza, cioè filosofi».
Come vedete, gli antichi conoscevano già tutto, compresa l’invadenza degli sponsor. Noi in questi giorni proviamo a divertirci davanti ai nostri schermi, facendo anche il tifo ovviamente, ma magari proviamo anche a pensare. Non serve essere filosofi per farlo.
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28 maggio 2024. Bill Walton in campo e fuori
Lunedì è morto Bill Walton, ex giocatore di basket statunitense considerato uno dei più forti nel ruolo di centro nella storia di questo sport. È morto a 71 anni per un cancro di cui era malato da tempo. Walton è ricordato non solo per la sua carriera da giocatore, che fu piuttosto breve a causa di numerosi infortuni, ma anche per quella da telecronista che iniziò una volta ritirato: si contraddistinse per la sua personalità e per il suo estro comico, che ne fecero uno dei più popolari e apprezzati commentatori di basket degli Stati Uniti.
Adam Silver, il capo della NBA, il campionato di basket statunitense che è anche il più importante al mondo, ha commentato la sua morte dicendo che «Bill Walton era davvero unico nel suo genere», e in effetti in molti lo ricordano come un’eccezione nel basket professionistico. Lo era innanzitutto per il suo aspetto e per il suo atteggiamento, che lo resero molto riconoscibile quando giocava per via dei capelli rossi lunghi e spettinati e per la barba spesso incolta.
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https://www.ilpost.it/2024/05/28/bill-walton-storia-morte-basket/?homepagePosition=10
28 maggio 2024. Chi era questo Roland Garros
Nel circuito del tennis professionistico l’Open di Francia è l’unico torneo che prende il nome da una persona, anziché dal luogo in cui si svolge, e a dire il vero col tennis c’entrava poco
Domenica scorsa è cominciato il Roland Garros, uno dei quattro tornei del Grande Slam, i più importanti della stagione tennistica: finirà il 9 giugno. Il nome del torneo sarebbe in realtà “Open di Francia”, ma tutti lo conoscono come Roland Garros, dal complesso sportivo di Parigi in cui si svolge (lo Stade Roland Garros, appunto), e ormai questo è diventato il suo nome ufficiale e quello con cui viene abitualmente chiamato. Prima di venire associati al tennis “Roland” e “Garros” furono per la verità un nome e un cognome, e questo rende il torneo l’unico tra tutti quelli del circuito professionistico ad avere il nome di una persona, anziché di un luogo: gli altri tre Slam, per esempio, si chiamano Wimbledon (il quartiere londinese dove si trova il circolo in cui si svolge), l’Australian Open (che si tiene a Melbourne) e lo US Open (New York).
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https://www.ilpost.it/2024/05/28/roland-garros-chi-era-aviatore/?homepagePosition=2
Leggi anche
Roland Garros, un pilota leggendario
Considerato uno dei migliori piloti francesi della Prima guerra mondiale, oggi il nome di Roland Garros è associato al tennis, grazie al torneo a lui intitolato. Ma Garros è famoso anche per aver inventato un rivoluzionario sistema mitragliatore che in seguito i tedeschi inserirono nelle loro squadre aeree e per essere stato il primo a trasvolare il Mediterraneo, volando dalla località francese di Fréjus alla tunisina Biserta
https://www.storicang.it/a/roland-garros-pilota-leggendario_15340
17 marzo 2024. Joaquim Santana, dal campo alla prigione per la causa dell’indipendenza
Valerio Moggia – pallonateinfaccia.com
Quando il Benfica sollevò la sua prima Coppa dei Campioni, il 31 maggio 1961, gran parte del merito era anche suo: le Águias avevano concluso una stagione eccezionale vincendo anche il campionato, e Joaquim Santana si era imposto come il terzo miglior realizzatore stagionale della squadra con 20 gol all’attivo, secondo solo al centravanti e capitano José Águas e all’ala destra José Augusto. Quella squadra eccezionale, allenata dall’ungherese Béla Guttmann, poteva fare affidamento su uno schieramento offensivo eccezionale, con Águas e Augusto a finalizzare, il genio di Mário Coluna a impostare il gioco, e in mezzo, come mezzala destra, proprio Santana, brillante dribblomane capace di accendere le partite e unire la tecnica individuale del trequartista alla capacità realizzativa dell’attaccante puro.
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https://pallonateinfaccia.com/2024/03/17/joaquim-santana-dal-campo-alla-prigione-per-la-causa-dellindipendenza/?fbclid=IwAR3uc4uIAHnoYJyzSOaC4-R0igv21xczydDqgCi4UydAJRNxfDC4QflfPXI
11 febbraio 2023. Franco Causio: “vecchio per la Juve, buono per la Nazionale”
“Un giorno Boniperti mi vide piangere sotto la doccia . Cercavo di non farmi notare, ma mi vide. Piangevo per quello che ritenevo un tradimento, perchè ero sicuro di valere ancora la Juve. Continuavo a lavorare come sempre, a comportarmi secondo lo stile innato del club. Nel 1981 la Juve doveva decidere tra me, Fanna e Marocchino . Ma niente. Via. Alla fine dovette fare le valigie il più vecchio. Mi davano per un calciatore finito. Si diceva che avessi accettato l’Udinese per prendere gli ultimi soldi.
Si sono ricreduti in fretta.
Sono diventato campione del Mondo .
Quando mi chiamò Bearzot , fu una delle più grandi soddisfazioni della mia carriera. Vecchio per la Juve, buono per l’Azzurro. Mica male”.
Juventus-Udinese sarà sempre la partita di Franco Causio
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(testo: Franco Causio “Vincere è l’unica cosa che conta” – foto: il Ponte)
8 febbraio 2024. Il record del mondo di Marcello Fiasconaro
Roberto Vallalta – paginedisport.net
Una storia che nasce da lontano, una storia entrata nella leggenda dello sport italiano. E’ la storia di Marcello Fiasconaro e del suo record del mondo negli 800 metri.
E’ il Sudafrica del dopoguerra quello in cui si trova Gregorio Fiasconaro, un musicista siciliano deportato in Sudafrica. Ed è in quella terra così lontana che Gregorio si innamora di Mabel Marie e da quell’amore nasce Marcello. E come per tutti i ragazzi in Sudafrica, Marcello inizia a giocar a rugby con il sogno di raggiungere la mitica nazionale degli Springbooks. La sua falcata potente e lunga viene notata dal lanciatore Carmelo Rado e Marcello viene indirizzato all’atletica.
Viene invitato ad alcune gare di atletica in Italia e qui, ottiene il passaporto italiano e può iniziare il suo viaggio verso la magica notte milanese.
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https://paginedisport.net/2023/10/20/il-record-del-mondo-di-marcello-fiasconaro/
8 febbraio 2024. L’incredibile Febbraio 1995 di Hakeem Olajuwon
Leonardo Ciccarelli – giocopulito.it
“Ci sono tantissimi, grandissimi atleti nel mondo di fede islamica. E come ben sapete c’è un mese all’anno in cui sono tenuti al digiuno completo però. Durante le ore del giorno non si mangia e non si beve. Essendo legato ad un calendario lunare, non esiste un mese fisso: dipende dai movimenti della luna.Tra i più grandi atleti della storia dell’Islam c’è Hakeem Olajuwon“.
§Comincia così uno splendido “Characters” di Federico Buffa, su uno dei più grandi giocatori della storia NBA e sul suo pazzesco, altro modo non c’è per descriverlo, Febbraio ’95.
https://giocopulito.it/lincredibile-febbraio-95-di-hakeem-olajuwon-30-punti-di-media-durante-il-ramadan-2/
4 febbraio 2024. Kurt Hamrin
Stoccolma, 19 novembre 1934 – Firenze, 4 febbraio 2024
https://it.wikipedia.org/wiki/Kurt_Hamrin
” Mio padre mi portava alle sue partite caricandomi in bici, pedalava 20 km e anche più e una volta al campo mi metteva dietro una porta. E avevo tre anni. Penso di avere imparato molto. Avevo il mito di Stanley Matthews perché era ala destra. Cercavo il tunnel, se mi riusciva bene, altrimenti mi liberavo con la carambola se il difensore teneva le gambe chiuse.
Un giorno, Nereo Rocco mi voleva al Torino, la Fiorentina chiese 30 milioni e lui pensò troppo poco, ci dev’essere la fregatura: non se ne fece nulla. Mi rivolle al Milan, ma ormai ero anzianotto : quell’anno i rinforzi erano tre vecchietti io, Cudicini e Malatrasi. Invece vinsi il primo scudetto della carriera, e anche la Coppa dei Campioni, battendo l’Ajax di Cruijff. Andavamo a 50 all’ora, adesso vanno a 100. Ma il nostro calcio era più bello e tecnico, questo è più veloce. Noi eravamo più leali, oggi vedo falli terrificanti.
Quando ho smesso di giocare, insegnavo calcio ai bambini della Settignanese. Mi piaceva, ho smesso. Pallone fa rima con educazione era il mio motto. E i bambini sono bravi. Ma i genitori insopportabili. Non ho rimpianti “.
Se n’è andato Kurt Hamrin
(da un’intervista di Gianni Mura)
Giacomo Losi
Soncino (Cremona), 10 settembre 1935 – Roma, 4 febbraio 2024
https://it.wikipedia.org/wiki/Giacomo_Losi
E’ l’8 gennaio 1961, è infortunato . Che fa? Si mette all’ala destra perchè non esistono le sostituzioni. Minuto 80, corner di Lojacono e lui stacca d testa nitido (è alto 1.69) : la Roma batte la Sampdoria 3-2. Lui esulta, salta su una gamba sola. “Tre mesi dopo, è il 25 aprile del 61 a Bologna, Italia-Irlanda del Nord, 3-2 per noi, marco bene Mc Parland. Il giorno dopo a Roma c’è il ritorno della semifinale di Coppa delle Fiere con l’Hibernian, 2-2 all’andata. Prendo il treno e vado all’albergo dov’è in ritiro la squadra, per far sentire il tifo del capitano. Piove molto, avvantaggiati loro, Foni, l’allenatore, mi fa: cosa diresti se ti chiedessi di giocare stasera? Non me l’aspettavo. Se i compagni sono d’accordo, gioco, ho detto. Evviva, pacche sulle spalle: gioco. E sono utile, perché sul 3-3 a pochissimo dalla fine tolgo dalla linea di porta un loro tiro che avrebbe significato l’eliminazione. Così si va alla bella, 6-0 per noi e poi, col Birmingham, grazie a un immenso Cudicini 0-0 là e 2-0 qua: prima coppa europea nella storia della Roma”.
E’ morto Giacomo Losi
(da un’intervista di Gianni Mura)
28 novembre 2023
Quella parata all’ultimo istante e il sogno spezzato della Chapecoense
Luca Parena – radiopopolare.it
È il 23 novembre 2016 quando all’Arena Condà di Chapecò, città di 200 mila abitanti nel Brasile meridionale, la squadra di casa, la Chapecoense, affronta nella semifinale di ritorno della Copa Sudamericana gli argentini del San Lorenzo di Almagro. Il San Lorenzo è una delle cinque grandi squadre di Argentina, solo due anni prima ha vinto la Coppa Libertadores, l’equivalente della Champions League in Sud America. La Chapecoense invece è alla sua prima esperienza in un torneo internazionale. Arrivare fin lì è già stata un’impresa, nella partita d’andata ha strappato un pareggio per 1-1. Quel gol in trasferta dà ai brasiliani il piccolo vantaggio di avere come risultato buono, al ritorno, anche uno 0-0. Al minuto 94 il punteggio non si è ancora sbloccato, il San Lorenzo ha un calcio di punizione dalla fascia destra del campo, un’ultima opportunità per segnare il gol della qualificazione.
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25 ottobre 2023
Rugby, All Blacks vs Springboks: la finale infinita della Coppa del mondo
Luca Parena – radiopopolare.it
In rimonta negli ultimi dieci minuti di partita, nella semifinale contro l’Inghilterra. Così la Nazionale sudafricana di rugby, gli Spingboks, hanno conquistato la finale della Coppa del mondo.
Sabato prossimo, allo Stade de France di Saint-Denis, incontreranno la Nuova Zelanda, quelli che tutti chiamano gli All Blacks, celebri per la loro “haka”, la danza tradizionale del popolo maori con cui iniziano ogni partita.
È la finale tra le due formazioni più titolate della storia. Non si affrontano nella partita più importante dal 1995, dalla Coppa del mondo disputata nel Sudafrica di Nelson Mandela.
Della finale che ci aspetta abbiamo parlato con il giornalista Marco Pastonesi, scrittore e autore, grande appassionato di rugby.
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https://www.radiopopolare.it/rugby-all-blacks-vs-springboks-la-finale-infinita-della-coppa-del-mondo/
2 agosto 2023
Lo chiamavano Rukeli, il pugile sinti che sfidò il nazismo
Marco Burchi – avantionline.it
“Porrajmos” in romani significa grande divoramento, grande devastazione.
Ricorre il 2 agosto di ogni anno ma pochi lo sanno.
E’ la Shoah dei Rom, dei Sinti, dei Kalé, dei Manush in memoria degli oltre cinquecentomila “zingari” trucidati dalla Germania Nazista.
Tra questi c’è un uomo di nome Johann chiamato più semplicemente Rukeli, che in lingua Sinti vuol dire “albero”, per via del ciuffo di capelli scuri che lo rendeva subito riconoscibile.
Il suo cognome era Trollman ed era nato in Bassa Sassonia due giorni dopo il Natale del 1907.
Johann “Rukeli” Trollmann crebbe ad Hannover e già ad otto anni iniziò a praticare la boxe.
Il ragazzo aveva talento, era forte ed agile e presto si fece notare sul ring anche se la sua condizione di zingaro nella Germania di cento anni fa non gli rendeva certo la vita facile.
Lui all’inizio orgogliosamente se ne curava poco, tanto che sui pantaloncini da combattimento si era fatto cucire la scritta “Gipsy”, zingaro.
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26 maggio 2021. Addio a Burgnich, segnò la riscossa nella mitica Italia – Germania 4-3
Ezio Pascutti segna di testa vanamente contrastato in volo da Tarcisio Burnich. Foto di Maurizio Parenti – Ansa Bologna
Alberto Crespi – strisciarossa.it
Era l’uomo più improbabile per segnare quel gol. L’Italia stava sotto, 2-1 per la Germania Ovest (c’era ancora il Muro). Semifinale dei Mondiali del 1970, in Messico. 1-0 per l’Italia con gol di Boninsegna, pareggio assurdo di Schnellinger all’ultimo minuto, supplementari. E all’inizio dei supplementari Gerd Muller porta in vantaggio i tedeschi con l’aiuto del nostro difensore Poletti, appena entrato al posto di Rosato. Sembra la fine. Si gioca a duemila metri di altitudine, sono tutti senza fiato, come si fa a rimontare? Eppure.
Eppure all’ottavo minuto del primo supplementare l’Italia ottiene un calcio di punizione, ben lontano dall’area. Sulla palla va Rivera. I tedeschi mettono la barriera, pensano che Rivera possa tirare in porta, invece la scodella in mezzo all’area, cercando Riva o Boninsegna, uno degli attaccanti. La palla sbatte su un tedesco che indossa la maglia numero 10 e si chiama Siegfried Held. “Held” significa “eroe”, e Siegfried, vabbè, tutti sappiamo chi è Sigfrido. E l’eroico Sigfrido che fa? La respinge malamente, se la fa carambolare su un fianco, la palla resta lì in mezzo all’area e in mezzo all’area c’è Tarcisio Burgnich, un uomo che in tutta la sua vita ha segnato pochissimi gol e ne ha evitati a centinaia. Il Terzino, con la T maiuscola. Ma in quell’istante il Terzino si trasforma in Centravanti. Tira d’istinto, di sinistro, il piede cattivo. E segna.
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https://www.strisciarossa.it/addio-a-burgnich-segno-la-riscossa-in-italia-germania-4-3/
Koppenberg, spettacolo e tormento. Il sogno e l’incubo del peloton
Melania Sebastiani – storiedisport.it
“Koppen” in slang olandese è abbreviazione di “ciottoli”. La parola per intero è “kinderkoppen”, che significa “teste dei bambini”. La Koppenberg è la “montagna dei ciottoli”, letteralmente la “montagna delle teste (dei bambini)”. Si trova in Belgio nel cuore petroso delle Ardenne Fiamminghe, a Melden, un paese vicino a Oudenaarde. Qui il pedalare riempie le esistenze e non è un caso che nella cittadina di Oudenaarde vi sia un museo dedicato totalmente a una corsa ciclistica: è il Centrum Ronde van Vlaanderen, il Museo del Giro di Fiandre. Nemmeno il Tour de France, che si arrota nella sua aurea di celebrità mondiale, può vantare l’intitolazione di un museo. Il Giro delle Fiandre esiste da più di un secolo. Come il Tour de France o il nostro Giro d’Italia, nacque da un giornale sportivo, lo Sportwereld. Il suo ideatore, il giornalista, indipendentista fiammingo ed ex ciclista Karel van Wijnendaele, pseudonimo di Carolus Ludovicius Steyaert, voleva fare pubblicità al giornale. Entrò subito nel cuore, negli istinti, nel folklore, nell’intimità, nel patrimonio culturale del popolo fiammingo. Così come la birra o le visionarie invenzioni di un altro celebre e misterioso fiammingo, il pittore olandese Hieronymus Bosch, il quale non avrebbe avuto difficoltà a trasfigurare letteralmente la “montagna delle teste dei bambini” in una tela piena di bizzarrie e potenza visionaria.
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http://www.storiedisport.it/?p=14614
Marcel Cerdan
Il re dei tre continenti
Melania Sebastiani – storiedisport.it
Era un pied-noir, letteralmente un “piede nero”, un francese nato in Algeria, dominio della Francia. Marcellin “Marcel” Cerdan nacque a Sidi Bel Abbes, sede della Legione Straniera, nel deserto, tra fortini militari e tramonti mozzafiato, il 22 luglio 1916, ultimo di cinque figli. Ultimo e pied-noir: non sapeva ancora quanto avrebbe dovuto combattere per farsi valere nella vita. Il pied-noir Albert Camus, quasi suo coetaneo, avrebbe scritto. Lui avrebbe fatto a pugni.
Il padre Antonio, macellaio, si crogiolava nel sogno dorato del colonialismo francese organizzando incontri di boxe. Nel 1922 accettò la proposta di gestire un locale in Marocco e trasferì la famiglia a Casablanca. Fu lì, dietro il balcone del bistrot del quartiere di Cuba, in quell’atmosfera di gran bazar, medine e Rick’s cafés che il film con Bogart renderà celebre, che Marcel cominciò gli allenamenti. All’epoca aveva sei anni, a otto concluse il suo primo combattimento. Proprio nella sala del bistrot del padre. In palio avrà un paio di espadrillas, ma avrebbe preferito il premio di consolazione, una tavoletta di cioccolato.
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http://www.storiedisport.it/?p=13954
5 maggio 2020. Venti anni senza Dante Canè, il “gigante buono” di Bologna
Il 5 maggio del 2000 un arresto cardiaco, proprio davanti alla sua salumeria, tradiva il cuore di un Campione dall’immenso coraggio, 10 volte “tricolore” dei pesi massimi. Memorabili le sue cinque sfide con Bepi Ros: due guerrieri che hanno infiammato la gente e riempito i palasport.
Maurizio Roveri – boxeringweb.net
La salumeria era il suo mondo. Dante ci andava ch’era ancora un ragazzo, per dare una mano al suo babbo Bruno. La “Salumeria Canè” di via Galeotti la conoscevano tutti nel quartiere bolognese di San Donato. Una bottega genuina. Simpatia e prodotti buoni.
Chi vi entrava, veniva immediatamente avvolto da un sapore di magia.
Dante cominciava ad imparare il mestiere, lavorando nella bottega paterna. Contemporaneamente, con quel fisicone che cresceva sempre di più e una stazza che stava facendosi imponente, si faceva strada in lui anche un’altra vocazione.
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https://www.boxeringweb.net/index.php/notizie/ultime-notizie/27235-venti-anni-senza-dante-cane-il-gigante-buono-di-bologna.html
Dante Canè
(Bologna, 5 giugno 1940 – Bologna, 5 maggio 2000)
https://it.wikipedia.org/wiki/Dante_Can%C3%A8
27 aprile 2020. Plaitano, un proiettile e mille bugie
Salerno. Il 28 aprile del 1963 al Vestuti moriva Giuseppe Plaitano, la prima pagina nera del calcio italiano
Michele Spiezia – storiedisport.it
Uno stadio vuoto è come lo scheletro di una folla. E’ la metafora di Mario Benedetti, scrittore e poeta uruguagio. E’ invece un giorno di storia, il 28 aprile del 1963 a Salerno. Lo stadio Vestuti è pieno e sopra un gradone della tribuna c’è una persona per terra. C’è sangue, accanto al suo corpo. L’uomo ha 48 anni, si chiama Giuseppe Plaitano. E’ un ex maresciallo della Marina Militare, è padre di quattro figli, fa il custode di Villa Laura, la clinica di Enrico Vigorito, un ex proprietario della Salernitana. Giuseppe con il figlio Umberto è andato al Vestuti per vedere Salernitana-Potenza. E’ uno degli ultimi atti del campionato di serie C 1962/1963, è la trentesima giornata. I granata hanno forse l’ultima possibilità di rientrare nella corsa promozione mentre il Potenza la serie B l’ha invece proprio nel mirino. E’ una domenica particolare: forse non si sarebbe dovuto nemmeno giocare perché le forze dell’ordine avrebbero altro cui badare. E’ una domenica di tornata elettorale, si vota per le Politiche perché un altro governo è caduto e non c’è più maggioranza: il Pci insidia la Dc, il presidente del Consiglio è il professore Amintore Fanfani, il ministro dell’Interno è invece Paolo Emilio Taviani. Nella Salernitana giocano Scarnicci, Santin, Gigante, Cordova, l’allenatore è Giunchi e il suo vice è Mario Saracino. Pasquale Gagliardi è il commissario straordinario. I granata vanno a caccia della vittoria contro c’è il Potenza dei miracoli allenato da Egizio Rubino. L’arbitro è il trentaseienne Giuseppe Gandiolo della sezione di Alessandria. In dodicimila sperano stipati nel Vestuti. Tutti e dodicimila imprecano quando il Potenza passa nel primo tempo: dodicimila imprecano accidenti no, quel gol però è in fuorigioco. Nella ripresa sul prato è assalto granata. La tensione cresce, lo stadio si scalda. I fischi dell’arbitro però sembrano andare in una sola direzione. Un tifoso a metà ripresa allora entra sul campo ma due carabinieri l’afferrano e lo bloccano, lo portano via senza violenze. Per fortuna tutto pare rientrare e si riprende a giocare. Dieci minuti dopo però il granata Visentin cade in area ospite, il Vestuti s’aspetta il rigore e invece Gandiolo dice no anche stavolta, accidenti a voi quello non è rigore. Un altro tifoso allora scavalca dai Distinti ed entra sul prato, inizia a correre verso l’arbitro. Due questurini lo rincorrono, lo randellano. A sangue. L’uomo chiede aiuto alla folla, le reti di recinzione cadono ovunque. E’ baraonda, in almeno duecento entrano sul campo e sul campo ci corrono le camionette delle forze dell’ordine.
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https://storiesport.it/un-proiettile-nascosto-dalle-bugie/
5 agosto 2013. Il giorno palestinese del Barcellona
Cronaca della visita della squadra più forte del mondo nel posto dove la desideravano di più
Simone Conte – ilpost.it
«Barcelona come here Barcelona tell world Palestine exist and tell us world think us»
Me lo dice Yussuf, che ha 16 anni, anche se quando glielo chiedo mi dice sixty ma no, non è uno che se li porta bene, e no, l’inglese stentato non è affatto un ostacolo alla comprensione. Basterebbero gli occhi, pieni di stupore come quelli degli altri ventimila che attendono la squadra del Barcellona nello stadio di Dura, a una manciata di chilometri da Hebron, nel sud della Palestina.
Come ci siamo arrivati qui, io e Yussuf? Lui ci sta da sedici anni perché ci è nato, io da qualche minuto perché sono stato invitato per raccontare la tappa palestinese del “Peace Tour” del Barcellona. Ma soprattutto, come ci è arrivato il club che è Mes que un club?
Flashback, di due giorni.
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https://www.ilpost.it/2013/08/05/barcellona-palestina/