Il sarto di Ulm

“Vescovo, so volare”,
il sarto disse al vescovo.
“Guarda come si fa!”
E salì, con arnesi
che parevano ali,
sopra la grande, grande cattedrale.

Il vescovo andò innanzi.
 “Non sono che bugie,
 non è un uccello, l’uomo:
 mai l’uomo volerà”,
 disse del sarto il vescovo.

“Il sarto è morto”, disse
al vescovo la gente.
“Era proprio pazzia.
Le ali si son rotte
e lui sta là, schiantato
sui duri, duri selci del sagrato”.

“Che le campani suonino.
 Erano solo bugie.
 Non è un uccello, l’uomo:
 mai l’uomo volerà”,
 disse alla gente il vescovo.

Bertold Brecht

Il sarto di Ulm: una storia che ci riguarda
Alessandro Vigilante – lefrivista.it

Introduzione, dal libro di Lucio Magri

“Il sarto di Ulm” (Edizioni Il Saggiatore, Milano 2009) è stata l’ultima opera di Lucio Magri (1932-2011), intellettuale e militante comunista, tra i fondatori del Manifesto, rivista mensile a partire dal 1969 e poi quotidiano dall’aprile del 1971.

Pubblicato poco prima della morte di Magri, è un libro può essere letto in più chiavi: racconto autobiografico e testamento politico, rassegna del Novecento, saggio sulla storia e le prospettive del movimento comunista italiano.
Il movimento comunista in Italia ha avuto una storia peculiare, in cui si sono sovrapposti l’influsso della Rivoluzione russa, la lotta contro il fascismo e i conflitti generati dalla Guerra Fredda. Ma soprattutto il Partito Comunista non è stato solamente un’organizzazione politica: era anche un’istituzione culturale con profonde radici nella classe operaia, giovanile e intellettuale, che ha avuto nell’opera di Antonio Gramsci il suo tratto teorico più noto e riconosciuto. Eppure, nonostante queste specificità, è impossibile non notare alcune somiglianze tra le problematiche vissute dal Partito Comunista Italiano negli anni ’70 e ’80 e le difficoltà scontate nei decenni successivi dai partiti eredi della tradizione comunista e socialista libertaria in tutto l’occidente.
I dilemmi del PCI sono descritti in dettaglio proprio ne Il sarto di Ulm. Secondo Magri, la “peculiarità del PCI… era quella di essere un ‘partito di massa’ che ‘faceva politica’ e operava nel Paese, ma era presente anche nelle istituzioni e le ha usate per ottenere risultati e costruire alleanze” (pag. 333). Magri insiste, in particolare, su un punto: l’attività istituzionale non è stata solo una strategia, ma ha contribuito a trasformare il PCI in un organismo strutturale dello Stato italiano, in “un elemento costitutivo di una via democratica. Una medaglia che aveva però un suo rovescio” (pag. 333).
Questo “rovescio”, che suona così familiare a chi segue le attuali vicissitudini della sinistra globale, è così presentato da Magri: “Non mi riferisco solo, o soprattutto, alle tentazioni di parlamentarismo, all’assillo di arrivare comunque a una collocazione di governo, ma a un processo più lento. Nel corso di decenni, e particolarmente in una fase di grande trasformazione sociale e culturale, un partito di massa diventa più che mai necessario, così come la sua capacità di porsi problemi di governo. Ma da quella stessa trasformazione viene molecolarmente modificato a sua volta, nella propria composizione materiale” (pag. 333).
In effetti, il contributo più grande de Il sarto di Ulm è costituito da un un approccio profondamente storico alla vita di un partito politico. Si suggerisce che la storia di un partito può essere compresa correttamente solo come parte della storia di una società, come un processo integrato tra opzioni strettamente politiche, tradizioni culturali e relazioni sociali più profonde, in uno specifico ambiente nazionale e internazionale.

Vai a: Lucio MagriIl sarto di Ulm – Introduzione
https://www.lefrivista.it/2021/07/31/il-sarto-di-ulm-una-storia-che-ci-riguarda/

6 gennaio 2024. Per battere la destra serve una sinistra radicale

Intervista all’ex vicepresidente della Bolivia Garcia Linera: «La destra estrema emerge nella crisi del liberismo, la sinistra dovrebbe capirlo e tornare a occuparsi di settori popolari e ambiente. Tenendo conto della novità del lavoro informale».

Álvaro Garcia Linera e Tamara Ospina Posse – jacobinitalia.it

Dopo il suo viaggio in Colombia per inaugurare il ciclo di riflessione «Immaginare il futuro dal Sud», organizzato dal Ministero della Cultura colombiano e curato dalla filosofa Luciana Cadahia, l’ex vicepresidente boliviano Álvaro García Linera ha parlato a Jacobin dello scenario politico e sociale che sta attraversando l’America Latina in questo «tempo liminale» o interregno che dovremo attraversare nei prossimi 10-15 anni, fino al consolidamento di un nuovo ordine mondiale. È chiaro che questo buio instabile è il momento in cui entrano in scena le più mostruose forze di ultradestra che, in una certa misura, sono una conseguenza dei limiti del progressismo. Linera sostiene che, nella nuova fase, il progressismo deve puntare su una maggiore audacia per rispondere, da un lato, con responsabilità storica alle profonde richieste che sono alla base del sostegno popolare e, dall’altro, per neutralizzare il canto delle sirene delle nuove destre. Ciò implica l’avanzamento di profonde riforme in materia di proprietà, fiscalità, giustizia sociale, distribuzione della ricchezza e recupero delle risorse comuni a favore della società. Solo in questo modo, partendo dalla risoluzione delle esigenze economiche più elementari della società e avanzando verso una reale democratizzazione, sostiene Linera, sarà possibile confinare nuovamente l’ultradestra nelle sue nicchie.

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21 dicembre 2023. Slittamenti progressivi del sistema-mondo

Agostino Petrillo – terzogiornale.it

Il declino, sotto la spinta soprattutto della Cina, del paradigma occidental-centrico. Due capitalismi? O l’inizio di un superamento del modello di sviluppo come l’abbiamo fin qui conosciuto?

Verso dove va l’“oscura, pesante Terra” come la chiamava il filosofo Ernst Bloch? In quale direzione e in che modo si è storicamente sviluppato il dominio di alcuni Paesi sul mondo? Chi può dire di controllarlo oggi? Sono quesiti che si è posta da mezzo secolo la scuola legata al pensiero di Immanuel Wallerstein, ideatore della ricostruzione storico-sociologica dell’affermarsi del capitalismo occidentale su scala planetaria che va sotto il nome di “sistema-mondo”. Per Wallerstein e i suoi seguaci, il capitalismo, nella sua irresistibile dinamica espansiva, ha progressivamente “colonizzato” il pianeta, a partire dai primi passi mossi nell’Europa cinque-seicentesca, tra Venezia e Amsterdam, per diventare poi ­– negli anni dell’imperialismo e dello sviluppo dell’industria ­– il sistema mondiale predominante.

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20 dicembre 2023. Il Mulino Operaista: le diverse lezioni di Tronti e Negri per una sinistra post fordista

Michele Mezza – strisciarossa.it

Lo stato o la società? Il partito o la moltitudine? Il lavoro o il consumo? La produzione o il calcolo?
Sono i dualismi che ci pare, ovviamente scarnificando una complessità che speriamo di recuperare nel nostro ragionamento, riassumano il dibattito che l’operaismo italiano ha ingaggiato con la sinistra tradizionale, e che si è poi scomposto anche nel cuore dello stesso operaismo nella divaricazione di indirizzi rappresentati da Mario Tronti e Toni Negri.
La scomparsa, a breve distanza l’uno dall’altro, di questi due protagonisti di quella scuola politica, tanto prestigiosi quanto discussi, seppur per motivi e con intensità diversi e a volte opposti, ci può aiutare ad usare la loro eredità per rafforzare l’attenzione e la capacità analitica della sinistra su temi e snodi della modernità che ancora ci sfuggono.
Mi aiuta ad inoltrarmi su questa strada una conversazione che registrai con Aldo Tortorella per Ytali (https://ytali.com/2019/03/24/pci-linnovazione-mancata-parla-tortorella/?pdf=69797) in cui uno dei più assidui e affiatati collaboratori di Enrico Berlinguer disse che l’origine della dissoluzione della tradizione comunista in Italia, a suo parere, è legata molto più ad errori e sbandamenti che risalgono agli anni 60, piuttosto che alle comunque innegabili responsabilità dei dirigenti che si sono susseguiti nel tratto finale del PCI e alla testa delle diverse versioni dei partiti che ne sono scaturiti.
Anch’io penso che il vero buco nero che, dopo la grande fiammata del 75/76, ingoiò il partito giraffa, per ricordare la fortunata metafora togliattiana, sia legato al passaggio 62/66, per coloro che hanno coltivato il gusto minuzioso di quella storia, possiamo dire dal convegno del Gramsci sul neo capitalismo alla conferenza operaia di Genova. In quella manciata di anni prendono forma i prodromi anche nel nostro paese, di un processo di americanizzazione senza fordismo, per parafrasare Gramsci, ignorato prima ed esorcizzato poi nell’intero arco della cultura politica del PCI. Un buco nero che ha inibito la capacità del movimento del lavoro a decifrare la svolta immateriale del capitalismo.

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14 dicembre 2023. Giuseppe Dossetti. La politica come missione

Centro per la Riforma dello Stato

Presentazione del libro di Luigi Giorgi, edito da Carocci. Ne hanno parlato con l’autore Maria Luisa Boccia, Giuseppe Cotturri e Gianluca Fiocco. Intervento di Alberto Olivetti.

14 dicembre 2023. Il premierato nel regime di guerra

Augusto Illuminati – centroriformastato.it

Nella riforma della destra, premier e maggioranza si configurerebbero come un inedito blocco esplicitamente costituzionalizzato. Una deriva autoritaria rispondente a un neoliberalismo esacerbato dal regime di guerra che ora sovradetermina gli equilibri dell’Occidente.

Non sono un costituzionalista, ma forse non ne serve uno per farsi un’opinione sul pastrocchio giuridico e politico del premierato. Il mio immediato ma tenace sospetto è che Giorgia Meloni, 44-enne, non è eleggibile a Presidente prima di sei anni e non ha in tasca nessun fidato parente con i requisiti giusti di età da proporre a quella carica. Questo il motivo più plausibile dell’abbandono dei precedenti più collaudati progetti di presidenzialismo e semi-presidenzialismo e il ripiego su una formula fumosa, tuttora non definitiva, mai sperimentata da nessuna parte (se non per pochi anni e con esiti negativi in Israele). E che, oltre tutto, non accrescerebbe i poteri attuali del Presidente del Consiglio (d’ora in poi Premier), ma soltanto lo sbarazzerebbe del controllo del Presidente della Repubblica.

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9 dicembre 2023. La rivoluzione dell’ugualibertà

Alexandre Pinto Mendes Viviane Magno Ribeiro

Il filosofo Étienne Balibar ci ha dedicato un po’ di tempo per parlarci di libertà e democrazia. E del perché la sinistra farebbe bene a riappropriarsi di queste due parole

In un recente discorso per il Veterans Day, Donald Trump si è buttato a capofitto  in tutta la sua retorica in stile red scare: «Estirperemo i comunisti, i marxisti e tutti i criminali della sinistra radicale che vivono come parassiti dentro i confini del nostro paese». Le sue parole sono arrivate qualche mese dopo aver annunciato un piano di misure repressive sull’immigrazione che includerebbe anche uno screening ideologico per impedire ai socialisti e ai radicali di ogni genere di entrare negli Stati uniti.
L’isteria trumpiana ha il pregio di ricordarci qualcosa di importante: il socialismo è ancora il cavallo di battaglia preferito dalla destra, la cosa che ama di più odiare. E non è difficile capire perché i suoi campioni, come Trump, non smettano mai di attingere a quel pozzo; il socialismo, dopotutto, viene collocato ancora agli antipodi di quello che è il più santificato valore americano: la libertà.
A dire il vero, il filosofo marxista francese Étienne Balibar è un candidato improbabile per scardinare queste certezze. Eppure, per decenni, il celebre coautore di Leggere il Capitale ha incoraggiato i socialisti a rivendicare la libertà e la democrazia come loro legittima eredità e ad andare persino oltre: la sopravvivenza del progetto socialista, insiste, dipende dalla ridefinizione stessa di ciò che queste due idee significano nel presente.
Per anni Balibar non ha smesso di spiegarci come a sinistra una delle battaglie politiche più importanti si giocasse proprio sul terreno semantico di concetti come libertà, individualità e diritti – parole abbandonate totalmente alla destra conservatrice e corrotte, nel loro significato, da decenni di consumismo neoliberista.

I collaboratori di Jacobin Viviane Magno Ribeiro e Alexandre Pinto Mendes hanno incontrato di recente il leggendario filosofo marxista per discutere di diritti politici, transizione socialista, e del perché la sinistra dovrebbe tornare a rivestire il mantello da paladina della vera democrazia.

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30 settembre 2015. Ritorna l’apologo del «sarto di Ulm»

Giovanni Russo Spena – ilmanifesto.it

PER PIETRO (PENSANDO ANCHE A LUCIO MAGRI). Non affidiamo alla «critica roditrice dei topi» un’esperienza storica di massa e un patrimonio teorico

Non sono stato mai iscritto al Pci. Ma ho sempre considerato Ingrao tra i miei maestri. Ho 30 anni meno di lui. Avendo avuto, come tutta Democrazia Proletaria, punto di riferimento ideale in Bloch, nella sua ricerca tra democrazia e socialismo, nella sua utopia come percorso quotidiano di conflitto e trasformazione, mi hanno sempre culturalmente ed emotivamente attratto, in Ingrao, il suo costante richiamo al «principio speranza» (si può essere sconfitti, non vinti), il suo «volere la luna», per l’appunto.
L’elogio del dubbio, la ricerca permanente sono stati spartiacque contro ogni dogmatismo e contro ogni populismo gaglioffo, del potere (Renzi insegna). Non volendo aggiungere nulla ai ricordi, molto approfonditi, già pubblicati sul giornale, posso permettermi di ricordare Ingrao trascrivendo un pezzo dell’introduzione di Lucio Magri, che ci manca molto, del suo bel libro Il sarto di Ulm?

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