PAGINA IN COSTRUZIONE
Questa non è una rassegna stampa, ma una mia personale raccolta di notizie, fatti, idee e persone che metto a disposizione di quanti, determinati ma con il sorriso sulle labbra, ancora resistono e lottano per il pane e le rose
Marzo: Predappio, il museo sul fascismo e il pellegrinaggio nero
Gianni Saporetti – Una Città
La costernazione per star toccando con mano il “degrado” di Predappio si è confusa con la condivisione dell’imbarazzo del gestore che, poveretto, di fronte alla prenotazione di una comitiva, evidentemente abituato a quelle “nere”, si era vestito per la migliore accoglienza.
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Non accendiamo quel faro
Fondazione Alfred Lewin – Una Città
Perché accenderlo? Cosa risponderemo quando ce lo chiederà il turista tedesco affezionato alle nostre coste, che viene da una terra in cui hanno eretto monumenti alle proprie colpe? E cosa diremo quando lo chiederanno i nostri ragazzi, che accompagniamo ad Auschwitz o nella via di Forlì dove fu compiuta la strage degli ebrei? Perché il faro di Mussolini è acceso? Gli diremo che si vogliono attirare turisti? Per far vedere loro “i prodotti della storia”, come recita un depliant diffuso da un gruppo di ristoratori di Predappio? Gli diremo: “Sì, sì, la memoria, ma qui si tratta di economia”?
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11 marzo: Bologna, 40 anni fa il ’77
Bruno Giorgini – Inchiesta
Il quarantennale del ’77 non è proprio scansabile. Almeno se si vive a Bologna. Per un verso l’establishment politico istituzionale, o nomenclatura, teme un revival magari sull’onda delle iniziative politiche del Cua, il collettivo autonomo universitario che fa parecchio tribolare i poteri costituiti, per l’altro i collettivi universitari e centri sociali comunque definiti che di sriffa o di sraffa in quel movimento pretendono di innestarsi. Mentre coloro che lo agirono da protagonisti moltiplicano gli eventi della memoria dei giorni che furono, cercando di evitare il “reducismo” e/o la retorica da “ex combattenti”
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Speciale Marzo ’77, il carteggio tra Roberto Roversi e Renato Zangheri
Dopo la rivolta e l’omicidio Lorusso, il poeta scrisse al sindaco di una città “dalle ossa rotte”. La risposta di Zangheri richiama discorsi di palazzo riecheggiati anche recentemente. Pubblichiamo lo scambio, ricevuto tramite la famiglia Roversi.
A 40 anni dalle giornate del marzo 1977, delle strade occupate dai sogni e della morte di Francesco Lorusso, studente e militante di Lotta Continua ucciso dai Carabinieri in via Mascarella, pubblichiamo lo scambio epistolare che dopo quegli eventi intercorse tra il poeta Roberto Roversi e l’allora sindaco comunista Renato Zangheri. Un sunto del carteggio (all’epoca apparso su l’Unità) è arrivato alla nostra redazione tramite la famiglia Roversi. Già elettore del Pci, dopo i fatti del ’77 l’intellettuale immortalò quei giorni chiedendosi “a che punto è la città?” in una poesia ancora oggi profondamente attuale e fondò la rivista “Il cerchio di gesso”, nome che prese spunto proprio dai segni lasciati sul muro di via Mascarella dalle pallottole che avevano ucciso Lorusso. E’ una Bologna “con le ossa rotte” quella su cui Roversi interpella il sindaco, una Bologna che “avrei voluto aprisse tutte le sue porte invece di chiuderle in fretta per assicurarsi e intanarsi”. Zangheri, sotto la cui amministrazione era arrivato l’ok ai carri armati in via Zamboni e il divieto a tenere i funerali di Lorusso nel centro della città, nella sua risposta ammette “i nostri errori”, ma leggendo la sua lettera non è difficile immaginare dove abbia potuto trarre ispirazione qualche suo successore, decenni dopo, per commentare più recenti eventi che hanno visto protagonisti gli studenti ed attaccare le loro rivendicazioni, in una città che continua ad affrontare i bisogni sociali con un impiego sempre più ampio e disinvolto della polizia.
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